Un’associazione già indicata dal predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nell’omelia della celebrazione della Passione del Signore, quella tra il Crocifisso e tutti gli “scartati”. L’ha sottolineata anche Papa Francesco nella preghiera finale della Via Crucis, ieri sera, al Colosseo: nella croce di Gesù sono “tutte le croci del mondo”. E il pontefice si è soffermato a indicarle una per una. Il primo riferimento è per le persone “affamate di pane e di amore”. Nella preghiera del Papa, il pensiero è per i più poveri e per chi affonda nella solitudine. Qui l’attenzione è particolare per “le persone sole e abbandonate perfino dai propri figli e parenti”. Un’attenzione che ritorna poco dopo, quando il Papa cita “la croce degli anziani che si trascinano sotto il peso degli anni e della solitudine”. La preghiera poi pone in primo piano le vittime della tratta, fil rouge delle meditazioni scritte da suor Eugenia Bonetti, quando Francesco chiama in causa “la croce dei migranti che trovano le porte chiuse a causa della paura e dei cuori blindati dai calcoli politici”. Riferimento esplicito alle politiche di chiusura dei porti all’accoglienza adottate da alcuni Paesi europei. Tra le ferite aperte, ritorna anche “la croce dei piccoli, feriti nella loro innocenza e nella loro purezza”, cenno visibile alla piaga della pedofilia. Ferita ancora più profonda, quando ne sono causa i “consacrati che, strada facendo, hanno dimenticato il loro primo amore”. E ai consacrati Francesco continua a rivolgere il suo pensiero, alle loro croci, quando “cercano instancabilmente di portare la Tua luce nel mondo e si sentono rifiutati, derisi e umiliati”.
Le meditazioni: un sentiero nelle sofferenze dalle vittime della tratta
Quella tracciata da suor Eugenia Bonetti dell’associazione “Slaves no more” è “una via dolorosa” – sono le sue parole – lungo la quale è possbile incontrare, in varie fasi, le vittime della tratta di esseri umani, in particolare le donne costrette alla prostituzione. Un sentiero che ricalca quello delle strade romane, dove i “nuovi crocifissi della storia di oggi” patiscono sofferenze e vedono impresse sui loro corpi ferite profonde. Nella terza stazione, la religiosa ricorda un episodio patito, in una notte gelida di gennaio, su una strada alla periferia di Roma, da tre ragazze africane, “poco più che bambine”, che erano “accovacciate per terra” e “scaldavano il loro giovane corpo seminudo attorno a un braciere”. Fu in quella notte che “alcuni giovanotti”, per divertirsi, passando in macchina hanno gettato del materiale infiammabile sul fuoco, ustionando gravemente le ragazze. A salvarle, una delle tante unità di strada di volontari, che le portò in ospedale per poi accoglierle in una casa-famiglia. Quindi, la domanda provocatoria di suor Bonetti: “Quanto tempo è stato e sarà necessario perché quelle ragazze guariscano non solo dalle bruciature delle membra, ma anche dal dolore e dall’umiliazione di ritrovarsi con un corpo mutilato e sfigurato per sempre?”. Immancabile il ringraziamento per “i tanti nuovi samaritani” che si chinano sulle tante ferite “fisiche e morali” di chi “ogni notte vive la paura e il terrore del buio, della solitudine e dell’indifferenza”. Nella quarta stazione, il pensiero è per le madri che hanno lasciato partire le loro giovani figlie verso l’Europa, ma hanno trovato umiliazioni, disprezzo e a volte anche la morte. La storia citata, in questo caso, è quella della giovane Tina, “uccisa barbaramente sulla strada a soli vent’anni, lasciando una bimba di pochi mesi”. Il viaggio nel sentero dello sfruttamento trova uno dei punti più ripidi nella sesta stazione, quando suor Bonetti rivolge l’attenzione ai bambini venduti e comperati da “trafficanti di carne umana”, “usati e sfruttati sulle nostre strade da molti, cristiani compresi”. Il suo ricordo si sofferma su una minorenne dal “corpicino gracile”, incontrata una notte a Roma, che “uomini a bordo di auto lussuose facevano la fila per sfruttare”. Una ragazza che “poteva avere l’età delle loro figlie”. Nell’ottava stazione, un appello alla corresponsabilità e a denunciare la tratta di esseri umani quale “crimine contro l’umanità”.
Uno sfruttamento causato da una cultura “usa e getta”
Nella nona stazione della Via Crucis, la meditazione si concentra sulle tante ragazze che “non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni”. Suor Bonetti indica il loro stato d’animo e spiega che si sentono come “sdoppiate”, da una parte “cercate e usate”, mentre dall’altra vengono “respinte e condannate” da una società che “rifiuta di vedere questo tipo di sfruttamento, causato dall’affermazione della cultura dell’usa-e-getta”. È la storia di Mercy, accovacciata e addormentata sul ciglio della strada, che non ne poteva più di essere sfruttata. Una storia che invita ad “assumerci le nostre responsabilità come singoli, come governi e anche come comunità cristiane”, è la denuncia della religiosa sotto forma di appello, “di fronte all’indifferenza e al silenzio di molti cristiani”. Nell’undicesima stazione, invece, la condanna di una società che “pratica e tollera la disuguaglianza”. “Quanti si fanno ricchi divorando la carne e il sangue dei poveri!”, è l’esclamazione desolata della religiosa, che chiede di rivolgere lo sguardo a “persone inchiodate ancora oggi a una croce” dai “nostri sistemi di vita e di consumo”, vittime di uno “sfruttamento disumano”.
Quei campi “simili a lager”
La Via Crucis del 2019 riconosce, nella dodicesima stazione, i “troppi calvari sparsi per il mondo”. Tra questi, suor Bonetti cita i campi di raccolta “simili a lager” nei Paesi di transito, ma anche le navi a cui viene rifiutato un “porto sicuro”, i centri di permanenza, gli hot spot, i campi per lavoratori stagionali. E fu proprio durante un viaggio della speranza che morirono in mare 26 ragazze nigeriane – solo cinque di loro sono state identificate -, ricordate dalla religiosa nella tredicesima stazione. Due di loro erano incinta. Ma per loro “chi ha pianto?”, si chiede suor Bonetti riordando la domanda che Papa Francesco aveva gridato a Lampedusa, nel luglio 2013, durante il suo primo viaggio apostolico. Una domanda che risuona da allora a oggi, mentre nel frattempo “il deserto e i mari sono diventati i nuovi cimiteri di oggi”.
La preghiera composta da #PapaFrancesco, letta al termine della Via Crucis al Colosseo. pic.twitter.com/7iQbytmqbI
— Alessandro Gisotti (@AGisotti) 19 aprile 2019
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