Papa Francesco, in occasione del 50° anniversario della Comunità Monastica di Bose, ha scritto ieri una lettera al fondatore, fr. Enzo Bianchi.
Era l’autunno del 1968 quando, dopo un periodo vissuto in solitudine, il giovane Enzo Bianchi decise di iniziare, assieme ad alcuni amici, una vita monastica sul solco degli orientamenti del Concilio Vaticano II.
Lui racconta su Twitter: “Non ho creato nulla, ma con semplicità e passione ho detto si alla vita e ai suoi doni, fidandomi del Vangelo” ricordando gli inizi di questa esperienza.
1968 autunno: 50 anni fa!
dopo un lungo tempo in cui ho vissuto da solo
a Bose, il Signore mi dona fratelli e sorelle
che iniziano con me una vita comunitaria
e monastica.Non ho creato nulla
ma con semplicità e passione ho detto si
alla vita e ai suoi doni,fidandomi del Vangelo. pic.twitter.com/NAySG5wHEd— enzo bianchi (@enzobianchi7) 10 novembre 2018
Gli inizi. I giovani amici individuarono un luogo in disparte, fuori Torino, che potesse favorire un clima di silenzio, di ascolto della Parola di Dio e adatto alla meditazione. I protagonisti di questa storia, erano appartenenti a chiese cristiane diverse: cattolici, valdesi, e battisti. Padre Ernesto Balducci, nel 1970, racconta nel suo Diario dell’Esodo, cosa stava avvenendo tra quelle case, su quelle colline nei pressi di Biella. “Sono case per modo di dire, il vento fischia tra le fessure e la nebbia che le avvolge sembra quasi dipanarle e portarsele via. Non c’è nemmeno la luce elettrica.” Poi aggiunge, “C’è la fede paradossale di questi amici che si propongono di preparare, in assoluta povertà, il cristianesimo di domani”. Una vita fraterna e in comunione, sulla scia della grande tradizione monastica e, soprattutto, di San Benedetto, San Basilio e San Pacomio era il loro desiderio principale.
La vita in comunità. E cosi, da allora, i ritmi della loro giornata sono scanditi dalla preghiera comune cantata, e dalla lectio divina. Nella Regola c’è un’esortazione a vivere alla continua presenza di Dio e per questo occorre “la preghiera silenziosa, personale, nascosta, quella di cui Gesù ti diede esempio”.
I monaci di Bose possono lavorare sia all’interno che all’esterno della comunità. I servizi, e quindi le attività manuali o intellettuali, all’interno sono le più svariate e utili al sostentamento dei fratelli e delle sorelle: l’orto, la produzione di marmellate e prodotti tipici, la falegnameria sono alcuni esempi. Da tempo, è attiva un’apprezzata casa editrice (Qiqajon) e dunque una tipografia. Alcuni monaci, invece, lavorano all’esterno, in scuole e in ospedali e il loro provento viene ridistribuito.
Il carisma e le indicazioni del Papa. Ma ciò che contraddistingue i monaci e le monache di questa comunità è soprattutto il ministero dell’ospitalità. Come ha sottolineato il Santo Padre nella lettera:
l’accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l’ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione; il servizio del discernimento per i giovani in cerca del loro ruolo nella società. I frutti prodotti dalla vostra opera di fede e di amore sono tanti, e i più conosciuti solo al Signore.
Bose è divenuta, negli anni, un luogo di riferimento per chi vuole confrontarsi sui grandi temi culturali di oggi. Ma soprattutto un laboratorio di ecumenismo, dove è possibile confrontarsi con uomini e donne con una sensibilità diversa. Un luogo di ascolto quindi, anche dei non credenti, dove ciascuno è invitato a vedere nel volto del fratello il volto di Cristo.
Riconoscendo il carisma peculiare di questa comunità, nella lettera di ieri, Francesco ha incoraggiato a “perseverare nell’intuizione iniziale”. E ha raccomandato: “la sobrietà della vostra vita sia testimonianza luminosa della radicalità evangelica; la vita fraterna nella carità sia un segno che siete una casa di comunione dove tutti possono essere accolti come Cristo in persona”.
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